L’Istituto Italiano di Cultura “C.M. Lerici” a Stoccolma (1958) è l’unico luogo al mondo, insieme alla coeva Villa Planchart a Caracas (1953-57), dove è possibile ammirare nella sua interezza l’universo creativo di Gio Ponti e la sua visione progettuale intatta e completa, dall’architettura agli arredi. Anche pensando ad altri grandi nomi dell’architettura internazionale, è molto raro se non impossibile trovare progetti risalenti alla metà del XX secolo che possano rappresentare il lavoro di un Maestro del modernismo nella sua globalità, dal pensiero architettonico fino ai più piccoli dettagli, come le maniglie delle porte.
Gio Ponti è stato non solo un architetto e progettista dalla prolifica attività – lavorava sempre, anche il sabato e la domenica, ricorderanno i suoi collaboratori – ma anche uno dei più attivi divulgatori della cultura del progetto industriale. Ponti vede l’arte come impresa globale, in modo simile alla Wiener Werkstätte e al Bauhaus. Tuttavia, è difficilmente classificabile in qualsiasi corrente architettonica. Egli fa costante riferimento al classicismo, è atipicamente modernista, in nessun modo può essere considerato un tradizionalista.
Ponti cercava la definizione dello spazio moderno ideale. Quello che, in equilibrio tra soluzioni tecnologiche e sapienza manifatturiera, regalava ambienti per la vita contemporanea, ricca e vitale seppur semplice, come le sue pareti leggere scaldate da contrappunti di colore e materiali accoglienti. In Istituto possiamo osservare alcuni degli elementi fondamentali della grammatica pontiana, soluzioni originali che il Maestro sperimentava in quegli stessi anni in progetti architettonici celebri come il Grattacielo Pirelli a Milano (1958), la già citata Villa Planchart, oppure in pezzi d’arredo che sarebbero divenuti leggendari.
Gio Ponti e, in background, il Grattacielo Pirelli (Milano, 1958)
Villa Planchart (Foto di Paolo Gasparini; Fundación Anala & Armando Planchart Archives, Caracas, Venezuela)
Per Ponti, l’architettura si fa leggero volume in cui i piani della facciata e del tetto si lambiscono senza mai toccarsi. Questa soluzione si trova sperimentata, in ben diverse proporzioni, anche nel ‘Pirellone’. Anche all’esterno dell’Istituto di Cultura, troviamo i segni distintivi dell’architettura pontiana: il tetto sfugge all’indietro e sembra fluttuare, le pareti appaiono come fogli accostati in un incontro mai concluso, che si risolve nel meraviglioso dettaglio all’angolo sinistro della facciata (corpo degli uffici e residenza, arrivando da Gärdesgatan). Tra il 1953 e il 1958, esattamente negli stessi anni in cui la nuova sede dell’Istituto prende corpo, Ponti lavora alla residenza privata Planchart a Caracas. Questi due progetti sono profondamente legati tra loro, con soluzioni simili tanto architettoniche quanto di interni. Ritroviamo somiglianze nelle proporzioni residenziali e non auliche dell’Istituto, che voleva essere una casa della cultura italiana. Si riconoscono anche le stesse superfici esterne, in piastrelline a mosaico di gres, così come tante soluzioni decorative all’interno, dall’impianto delle scale ai tessuti geometrici, dai mobili policromi alla valorizzazione della luce tramite le grandi pareti finestrate. Tra il 1949 e il 1957 Ponti raffina sempre più il progetto di una sedia che sarebbe divenuta celeberrima, la Superleggera prodotta da Cassina, che si può sollevare con un dito grazie ai suoi montanti a sezione triangolare ancora più affinati. Nel 1949 comparve la prima sedia a schienale piegato e gambe appuntite. Nel ’52, disegnata sempre per Cassina, fa poi la sua comparsa la popolarissima Leggera, sedia in frassino, fortissima e sottile, presente all’IIC in centinaia di esemplari.
Se andate dai Cassina vi mostreranno spettacolari lanci di queste sedie, che ricadono dopo voli vertiginosi in alto e in lungo, rimbalzando e non rompendosi mai.
– Gio Ponti